La noce di cocco, in breve
Guscio marrone e polpa bianca madreperlacea: la noce di cocco è il super frutto esotico che troneggia sulle nostre bancarelle. Ma il frutto della palma di cocco (Cocos nucifera) che cresce in grappoli sulla pianta ha un aspetto completamente diverso.
Questa imponente drupa dalla forma ovoidale, che può pesare fino a 1,5 kg, si caratterizza per la parete liscia e verde prima della maturazione (pericarpo) che racchiude un secondo involucro fibroso, comunemente chiamato “borra”, che protegge la parte più interna del frutto (endocarpo).
L’involucro a tre strati preserva così il cuore della noce, lamandorla, che è concava e contiene un liquido trasparente: la famosa acqua di cocco. Le sue pareti madreperlacee costituiscono la polpa, che serve alla preparazione del latte di cocco e dell’olio di cocco.
Originario della Malesia, questo frutto esotico si è ormai adattato al clima della maggior parte dei paesi tropicali e il 70% della sua produzione mondiale è attualmente concentrata in Indonesia, India e Filippine.
Acqua di cocco: la bevanda di tendenza per mantenersi idratati
Spesso confusa con il latte di cocco, l’acqua di cocco (o succo di cocco) è la parte acquosa naturalmente racchiusa nella mandorla. Molto rinfrescante e dissetante, si distingue per la mancanza o quasi di lipidi a vantaggio dei carboidrati (3,33 g/100 ml), principale carburante dell’organismo, a cui deve il suo caratteristico sapore dolce.
L’acqua di cocco è anche straordinariamente ricca di enzimi bioattivi e minerali. Si caratterizza, tra l’altro, per l’elevato contenuto di potassio (200 mg/100 ml), un minerale che contribuisce al normale funzionamento del sistema nervoso e al mantenimento della normale funzione muscolare (1).
Grazie alla minima quantità di sodio (20 mg/100 ml), l’acqua di cocco è, inoltre, particolarmente apprezzata nel recupero sportivo come alternativa naturale alle bevande isotoniche per compensare la perdita di liquidi e minerali dovuta alla sudorazione (2).
Nonostante i numerosi benefici, il succo di cocco non deve però in nessun caso sostituire l’acqua da tavola: un consumo eccessivo di acqua di cocco (fino a diversi litri al giorno) può causare un eccesso di potassio nel sangue (iperkaliemia), con effetti potenzialmente deleteri su cuore e reni (3).
Latte di cocco: un tocco esotico
Stella del golden milk e dei curry vegetariani, il latte di cocco regala ai nostri menù un tocco esotico fra i più piacevoli.
E dal punto di vista nutrizionale? Nonostante la denominazione “milk”, il latte di cocco si differenza enormemente dal latte animale: con le sue 188 kcal/100 g è molto più calorico, contiene anche meno calcio (solo 18 mg/100 g) e presenta un alto contenuto di grassi che sfiora 18 g/100 g (il 90% dei quali classificati come saturi).
Quindi è da bandire dalla tavola? Non necessariamente, perché il latte di cocco offre anche alcuni vantaggi: un interessante contenuto di potassio (220 mg/100 g), magnesio (46 mg/100 g) e ferro (3,3 mg/100 g), una piccola quantità di selenio (3 mcg/100 g) e dei composti fenolici protettivi, il tutto senza lattosio né colesterolo (4).
A dire il vero, l’unica insidia è consumarlo come latte classico (e servirlo fumante in una grande tazza ogni mattina). Al contrario, se mescolato a un’altra bevanda vegetale più leggera (ad esempio, il latte di mandorla) o utilizzato come sostituto della panna fresca al 30% MG, è ammissibile nella dieta.
Olio di cocco TCM: un virtuoso alleato della dieta chetogenica
Sulla carta, l’olio di cocco è al primo posto fra i grassi saturi (86% della sua composizione), precedendo di gran lunga il burro (55%) – un punteggio che può spaventare, se si considera la cattiva reputazione sul piano cardiovascolare.
Senza contare che non tutti gli acidi grassi saturi possono essere equiparati! L’olio di cocco, infatti, ha la particolarità di contenere dei trigliceridi a catena media (TCM) formati da acido caprilico (C8),acido caprico (C10) eacido laurico (C12) (5).
Queste molecole singolari eludono la classica via metabolica dei lipidi (6), aggirando la bile e il pancreas per dirigersi direttamente verso il fegato, prima di ritornare alla circolazione sanguigna sotto forma di acidi grassi a catena media (AGCM) che possono, quindi, fungere da carburante immediato per le nostre cellule.
Il risultato è che, differenza dei trigliceridi a catena lunga, i TCM non possono essere immagazzinati nel tessuto adiposo (7). Inoltre, l’ossidazione dei TCM da parte delle cellule epatiche dà origine ai corpi chetonici, una preziosa forma di energia compensatoria nel quadro di una dieta povera di carboidrati: ciò spiega il grande entusiasmo per l’olio di cocco nella dieta chetogenica (8).
Sfortunatamente, l’olio di cocco tradizionale contiene solo il 5% di acido caprilico, che è tuttavia apprezzato per la capacità di attraversare facilmente le membrane cellulari e per l’eccellente tolleranza digestiva (9). Composti esclusivamente da trigliceridi a catena media, gli oli di cocco TCM colmano questo deficit isolando solo le frazioni lipidiche più vantaggiose (ad esempio, l’olio di cocco Organic MCT Oil Pure C8 contiene una percentuale eccezionale di acido caprilico pari al 98%).
Come usarli? Grazie alla formula concentrata, vengono impiegati nella quantità di 10-20 ml al giorno. Rispetto agli oli di cocco tradizionali, tuttavia, non tollerano la cottura ad alte temperature, quindi è meglio consumarli a crudo, ad esempio in un frullato, in una vinaigrette... o in una maionese vegana!